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Per secoli, filosofi, scienziati, psicologi ed economisti hanno contribuito a diffondere l'idea che l'essere umano sia per natura aggressivo e utilitarista, teso principalmente al soddisfacimento egoistico dei propri bisogni e al guadagno materiale. La storia, quindi, non sarebbe altro che una lotta senza quartiere tra individui isolati, solo occasionalmente uniti da ragioni di mera utilità e profitto. Ma negli ultimi decenni alcune sensazionali scoperte nel campo della biologia e delle neuroscienze hanno messo in dubbio questa tesi e hanno dimostrato, al contrario, che uomini e donne manifestano fin dalla più tenera età la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera empatica, percependone i sentimenti, in particolare la sofferenza, come se fossero i propri. Alla luce di questo nuovo approccio, Jeremy Rifkin propone una radicale rilettura del corso degli eventi umani. Se nel mondo agricolo la coscienza era governata dalla fede e in quello industriale dalla ragione, con la globalizzazione e la transizione all'era dell'informazione, si fonderà sull'empatia, ovvero sulla capacità di immedesimarsi nello stato d'animo o nella situazione di un'altra persona. Tale risultato è stato però ottenuto a caro prezzo: per crescere e prosperare, società via via più complesse e sofisticate hanno richiesto sempre maggiori quantità di energia e risorse naturali, imponendo un pesante tributo all'ambiente sotto forma di un notevole aumento dell'entropia.